Pubblicato su I piaceri del gusto – novembre 2022

Sarà per la cultura millenaria da cui proveniamo o per l’enorme patrimonio di opere di cui siamo circondati, sta di fatto che noi italiani veniamo al mondo con in dotazione una sorta di responsabilità verso l’eredità del passato, con l’istinto di preservare, recuperare, sottrarre all’oblio del tempo.

Dev’essere a causa di questo sentimento ancestrale che viviamo con amarezza l’abbandono di realtà passate e siamo spinti a compiere sforzi monumentali per riportarle in vita. Dev’essere anche per queste ragioni recondite che una sera a cena a un gruppo di amici venga in mente di acquistare i ruderi di un’antica borgata abbandonata di montagna, con l’idea di farla tornare a vivere.

Perseguire un’idea simile non è chiaramente cosa da tutti. Oltre al profondo amore per un territorio serve anche un lucido progetto imprenditoriale, che fortunatamente ai nostri 10 amici, già imprenditori del vino piemontese, non mancava: recuperare la borgata di Valliera, frazione del comune di Castelmagno e diventare produttori di quello che universalmente nella zona è riconosciuto come il “re dei formaggi”.

Pochi anni e molto lavoro dopo, la società agricola appositamente costituita riesce a riadattare le vecchie abitazioni, realizzando stalla, caseificio d’alta quota e locali di stagionatura ottimali per la produzione di Castelmagno d’Alpeggio DOP, che ad oggi conta 4 produttori.

Des Martin e il Castelmagno d’Alpeggio DOP

Così nasce Des Martin (che va pronunciato così come si scrive), dal dialetto piemontese letteralmente “dieci Martini”, cognome diffuso della zona, in onore delle 10 famiglie che in passato abitavano quelle mura e dei 10 fondatori.

Oggi non solo la borgata vive attraverso chi ci lavora, ma accoglie anche chi ama la montagna o desidera uscire fuori dal tempo per qualche giorno.
I prati sono curati e pascolati e la tradizione casearia locale, che conta 750 anni di storia conosciuta, acquisisce nuova linfa.

Ormai da tempo luoghi marginali come le montagne sono pieni di vuoti che vengono lasciati indietro dalla cultura vivente dei popoli.
Le realtà produttive rispettose sono le uniche in grado di riempire quei vuoti, o quanto meno di non crearne di nuovi, e le attività agricole casearie ne sono spesso l’ultimo baluardo.

Che siano pionieri, come i Des Martin oppure gente del posto che fa resistenza per mantenere un presidio, si tratta sempre di iniziative di singoli, che si ritrovano in capo la responsabilità della sopravvivenza di comunità, identità e saperi.
Un po’ di aiuto forse non guasterebbe.

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