Come se gli astri si fossero allineati, i giorni scorsi sono stati scanditi da fatti che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con formaggi erborinati e sperimentazioni.
abbinamento
La prima sperimentazione è mia: ho collaudato un nuovo abbinamento. In un’attività progettata per @flyfood, avrei avuto davanti a me un pubblico numeroso ed eterogeneo, per cui ho scelto di accostare qualcosa di (quasi) universale come il Gorgonzola DOP Dolce assieme a qualcosa che potesse sorprendere anche i gourmet: scorza d’arancia candita. Escludendo un uomo che si è fatto spaventare dall’arancia, pare che l’idea sia piaciuta e che anche le papille fossero d’accordo.
Per riprodurlo a casa consiglio di cercare la migliore arancia candita e, ovviamente, il miglior Gorgonzola Dop Dolce che avete a tiro. Non è sempre cosa facile: se possibile, il mio consiglio è di optare per quei produttori che lavorano in vasche “piccole”, con una certa accuratezza.
La differenza rispetto a quel che viene fuori dai mega macchinari di caseificazione, al top della tecnologia, grandi come appartamenti, solitamente è chiaramente percepibile. Tra i miei preferiti ci sono @Latteria di Cameri e @Sì Invernizzi. Se avete suggerimenti sarò felice di allungare la lista.
scuola casearia
La seconda sperimentazione in realtà sono tre. Il risultato di tre lavorazioni didattiche che ho potuto assaggiare facendo un salto a Moretta, nella mia amata scuola casearia.
Passare da lì è ogni volta un po’ come scartare un pacchetto regalo. C’è sempre qualcosa che bolle in pentola: un progetto, un corso monografico per professionisti o una lavorazione sperimentale. Il tutto si svolge nel più classico stile piemontese, con quella pacata modestia del “massì, non è nulla di speciale” in grado di far sembrare ordinario anche quello che non lo è. E ovviamente, c’è sempre qualcosa da assaggiare, come i 3 erborinati, rispettivamente fatti con latte di capra, vacca e pecora.
emozione
Infine, sulla sequenza temporale, la sperimentazione che più mi ha emozionata. Ho assistito alla nascita di un nuovo formaggio, un blu, neanche a dirlo.
Qualche giorno prima ricevo un messaggio che dice: “Quando posso portarti ad assaggiare questo? Vorrei un tuo parere (i distacchi che vedi sono i tasselli fatti nel tempo)”.
Insieme al messaggio, un video in cui si vede una forma morbidissima che viene tagliata a metà.
Ed eccoci, Francesco ed io, davanti a una forma di blu di 40 giorni. È uno dei primissimi lotti.
C’è un istante, appena prima di aprire una forma, in cui diverse emozioni si accavallano: curiosità, attesa, incertezza, speranza, fiducia, dubbio… “rullo di tamburi”, per riassumere.
Poi la lama affonda.
E il mistero si svela.
Da pelle d’oca.
“Questo è il lavoro che vorremmo fare col Blu di Cuneo”, mi dice, mentre nella stanza si diffondono note di latte e fungo.
Si tratta di un nuovo progetto ancora in elaborazione, un progetto ambizioso e identitario, nato dall’idea di due giovani fratelli, Francesco e Giorgio del Caseificio Rabbia, convinti come me che fare rete possa essere forza e risorsa per il loro territorio.
Sono onoratissima di essere stata testimone dei primi assaggi di questo nuovo protagonista della scena casearia, ora non posso che seguirne le evoluzioni.
Anche se devo dire che, a parer mio, una volta diminuito un po’ il tenore di sale rimane ben poco da mettere a punto. La struttura è da acquolina già alla prima occhiata, luccicante e cremosa, con le venature blu ben distribuite.
All’assaggio, il grande lavoro di selezione del ceppo di pennicilium roqueforti (responsabile dell’erborinatura) è ripagato: la giusta intensità delle note di fungo per conferire carattere quanto basta e bilanciarsi con la dolcezza avvolgente della pasta.