Dove c’è formaggio c’è cultura. Cultura popolare, viva, quella cultura che si respira nelle feste di paese, ma anche la cultura di secoli di storia, di scoperte scientifiche, di sperimentazione e di innovazione.
Raccontare il formaggio significa esplorare territori e perché no, entrare nella quotidianità delle persone che gli gravitano intorno.
Ci si può imbattere in leggende, storie passate e criticità del presente mentre se ne assaggia anche solo un pezzetto.
Se poi ci si ricorda di utilizzare i 5 sensi che abbiamo in dotazione, l’assaggio diventa esperienza a tutto tondo e ogni significato passa per la nostra pelle.
Il formaggio per me è una piccola alchimia di fascino, emozione e gusto.
Ma c’è dell’altro.
Dietro c’è il mondo agricolo con le sue mille contraddizioni.
Parlare di formaggio significa parlare di agricoltura, a partire dal lavoro nei campi, alla vita con gli animali, per arrivare soltanto infine alla magia del caseificio e della stagionatura.
Conoscere il tipo di produzione e di sistema agricolo legato al singolo formaggio ci permette di fare scelte consapevoli, in armonia con la nostra personale sensibilità.
Mangiando formaggio possiamo esprimere giudizi di valore e di fatto.
Se con le nostre scelte cominciamo a premiare i sistemi agricoli virtuosi e rispettosi (perché ce ne sono) possiamo anche noi esserne membri attivi.
I sistemi agricoli di produzione indiscriminata guidati unicamente dalle ragioni del fatturato hanno proliferato negli ultimi 40 anni, ma hanno ormai fatto il loro tempo.
Nel nostro presente la parola d’ordine è sostenibilità e l’adeguamento dei sistemi agricoli in questo senso è imprescindibile, soprattutto se il mercato (noi) fornisce indicazioni precise in questo senso.