di Maria Cristina Crucitti

Pubblicato su I Piaceri del Gusto – laRepubblica – settembre 2025

Latte crudo

Il latte così com’è alla mungitura, che non viene riscaldato oltre i 40° C, preservando intatta la flora microbica di cui si è popolato una volta a contatto con l’ambiente esterno. Come la polaroid di un istante, il latte crudo è testimone di un momento preciso in un luogo preciso, imprimendo su di sé ogni volta una combinazione microbiologica unica fortemente identitaria. I formaggi a latte crudo sono dunque suscettibili dei cambi di stagione, clima, ambiente e di conseguenza non standardizzabili. Trasformano a latte crudo principalmente aziende agricole e artigianali di filiera corta e cortissima responsabili anche del lavoro in stalla, oppure caseifici che utilizzano temperature elevate nel loro processo produttivo, come accade per i formaggi a pasta cotta o a pasta filata.
Nota: I formaggi a latte crudo rafforzano il microbiota intestinale, ma possono non essere adatti a bambini piccoli o persone fragili.

Latte pastorizzato

Latte che ha subito la pastorizzazione: il riscaldamento ad almeno 72,5°C per 15’’ allo scopo di eliminare la flora microbica presente, senza tuttavia compromettere la struttura delle proteine, indispensabili per la caseificazione. Una volta pastorizzato il latte perde la sua componente vivente e, come un foglio bianco da riscrivere attraverso l’uso di appositi fermenti, consente una maggiore omologazione delle produzioni, perdendo per contro ogni legame col territorio di provenienza. Il latte pastorizzato è utilizzato per ragioni di sicurezza alimentare in larga parte dall’industria e dai caseifici che, raccogliendo il latte da molteplici aziende agricole, non hanno il controllo sull’intera filiera.

Fermenti

Batteri lattici presenti naturalmente nel latte crudo in grande varietà di tipologie e ceppi, responsabili del processo di acidificazione del latte e della cagliata e di molti aspetti della maturazione dei formaggi. Giocando con tempi e temperature durante le lavorazioni e/o aggiungendo lattoinnesti o sieroinnesti (colture di batteri lattici autoctoni preparate in azienda), i casari sono in grado di favorire lo sviluppo di determinate famiglie di microrganismi che andranno a impattare sulle caratteristiche sensoriali del prodotto finito.
Sono inoltre disponibili sul mercato fermenti liofilizzati in bustina, isolati e selezionati da industrie specializzate in alcune varianti pronte all’uso, sulla base della tipologia di formaggio desiderato. L’inoculo di questi fermenti è diffuso sia nelle produzioni a latte pastorizzato, dove la flora di microrganismi originale è stata eliminata, sia in quelle a latte crudo che non utilizzano innesti autoctoni, allo scopo di orientare le fermentazioni.

Caglio

L’ingrediente magico che consente al latte di coagulare per mezzo della sua azione enzimatica, in grado di modificare la struttura delle caseine, le proteine del latte. Nella caseificazione italiana il caglio è tradizionalmente di origine animale, estratto da uno dei quattro stomaci di vitello, agnello o capretto. Fin dall’antichità si utilizzano anche coagulanti vegetali, il più diffuso oggi è a base di cardo selvatico. Di recente, per incontrare le esigenze di chi pratica una dieta vegetariana è di ampio uso anche il coagulante microbico, estratto in laboratorio da una specifica muffa.

Cagliata

Il risultato della coagulazione del latte, dalla consistenza gelatinosa simile a quella di un budino. Con la rottura della cagliata avviene la separazione tra la componente di sostanza secca del latte (grassi, proteine, zuccheri, sali minerali) che diventerà formaggio e la componente di acqua, denominata siero. In base alla dimensione dei grani di cagliata, il casaro stabilisce il livello di umidità e la consistenza del formaggio.

Pasta cruda 

Crudo o pastorizzato che sia il latte di partenza, un formaggio è a pasta cruda quando durante la lavorazione la temperatura della cagliata non supera i 42°C. Per fare qualche esempio:  Roccaverano DOP, Pecorino Toscano DOP, Castelmagno DOP.

Pasta semicotta

Si ottiene sottoponendo la cagliata, una volta rotta, a riscaldamento non oltre i 48°C, conferendo una certa elasticità al formaggio. La Fontina d’Aosta DOP e l’Asiago DOP sono formaggi a pasta semicotta.

Pasta cotta

Il riscaldamento tra i 48 e i 56°C determina la cottura della cagliata, con l’effetto di ridurre il livello di umidità della pasta. Con questa tecnologia si producono tra gli altri Parmigiano Reggiano DOP, Grana Padano DOP, Bitto DOP e Piave DOP.

Pasta filata

Mozzarelle, trecce, scamorze, cacicavallo, provole e provoloni hanno in comune uno speciale processo, la filatura, in grado di modificare la conformazione delle proteine allungandole come fili: versando acqua calda tra i 70 e i 90°C su pezzetti di cagliata lasciata acidificare e applicando un movimento meccanico si ottiene la pasta filata, elastica e modellabile.

Formaggi erborinati

Anche detti formaggi blu, sono caratterizzati dalla presenza all’interno della pasta di muffe che variano dal grigio al verde al blu, inoculate dal casaro nel latte all’inizio della lavorazione e che si sviluppano lentamente durante la stagionatura. Gorgonzola DOP, Roquefort AOP e Blue Stilton PDO, i più famosi d’Europa.

Crosta fiorita

Strato bianco e vellutato che avvolge tipicamente i formaggi a pasta molle, costituito da una speciale muffa inoculata nel latte dal casaro. Il Brie de Meaux AOP ne è l’emblema.

Crosta lavata

Tecnica di stagionatura che consiste nella spugnatura della crosta con acqua e sale, favorendo lo sviluppo in superficie di un microrganismo che contribuisce alla maturazione del formaggio e conferisce la tipica colorazione aranciata. Taleggio DOP e Reblochon de Savoie AOP su tutti.

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