Per chi è amante del burro, ma soprattutto per chi non lo è, questo è il periodo migliore.
È il periodo in cui i pascoli di alta montagna sono fioriti, le mucche si sono ormai perfettamente ambientate dopo la transumanza e i malgari producono formaggi profumatissimi e burro giallo oro.

C’è chi gli da forma di panetto, con i tradizionali stampi in legno decorati, e chi lo plasma direttamente con le mani, lasciandolo irregolare e irripetibile.

Il colore è un carattere distintivo. Erba fresca e fiori sono ricchi di caroteni, precursori della vitamina A, che conferiscono il colore giallo al latte vaccino e che peraltro sono assorbibili dal nostro organismo veicolati dai grassi.

Le sensazioni aromatiche di questa tipologia di burro sono sorprendenti e la loro intensità amplificata. Alla grande dolcezza e al diacetile (la tipica nota aromatica del burro) si accompagnano note vegetali, floreali e persino di frutta secca.

The Cheese Storyteller - burro

Ma cos’è il burro?

Il burro è la concentrazione dei grassi del latte.
Si ottiene a partire dalla panna, attraverso un processo meccanico che consente la separazione della materia grassa dal latticello, la componente di acqua e altre sostanze presenti nella panna.
Per la legge italiana, affinché possa essere definito tale, il burro deve avere una componente grassa minima dell’82%.

Sono molte le variabili che ne possono determinare la qualità:

  • il tipo di allevamento e alimentazione degli animali, come sempre alla base di tutto;
  • la panna: ottenuta per affioramento o centrifuga, dal siero o direttamente dal latte;
  • le tipologie di microrganismi che si occupano della fase di maturazione della panna e che saranno responsabili dei profumi del burro;
  • il tipo di tecnologia utilizzata per la fase meccanica: zangola artigianale o burrificatrice industriale.

Ogni produttore si regola in base alle proprie esigenze produttive, per cui è chiaro che non basta dire “burro” per esaurire la questione.

Un fatto culturale.

Ancora una volta è la geografia a stabilire le abitudini, in questo caso chi consuma burro da tempo immemore e chi no.

A ben vedere il nostro continente si divide in 2 aree: i popoli che producono e consumano burro in quantità e quelli che producono e consumano olio d’oliva in quantità.
Il confine è netto e sta tra il 45esimo e il 44esimo parallelo Nord, lo stesso confine che separa clima continentale e clima mediterraneo.

The Cheese Storyteller - geografia del burro

A Nord temperature rigide e piogge in abbondanza assicurano pascoli ricchi e copiosi per i grandi bovini da latte.
A Sud il clima temperato e secco è ideale per distese di ulivi secolari di ogni varietà.

La questione del condimento non è affare da poco, anzi viene percepita come argomento estremamente rilevante dalla gente.

Penso ad esempio alle mie nonne, che contemplavano il solo olio extravergine d’oliva per tutti gli usi, dalla frittura all’insalata.
La merenda per noi bambini era pane, olio evo e zucchero.
Da che ho memoria nella mia famiglia il burro si è sempre usato di fatto solo per i dolci.

Penso anche alla mia vicina di casa quando ero adolescente, emiliana doc, con il matterello per la pasta fresca sempre a portata di mano.
Per lei non era concepibile la cucina senza burro e quel poco di olio che utilizzava non era assolutamente extravergine, troppo forte diceva.

Qui in Piemonte il burro è così fuso nella cultura locale da essere entrato nel linguaggio di tutti i giorni. C’è un modo di dire ricorrente nella parlata, sia in piemontese che in italiano, che dice:

Han rangià cula del bür, rangiuma co custa | Hanno risolto quella del burro, risolviamo anche questa

Da quanto mi dicono, pare che il problema si riferisse alla conservazione del burro in tempi in cui i frigoriferi erano ancora lontani.
Una questione d’importanza centrale insomma.

Nemmeno a dirlo, qui la merenda delle nonne è pane, burro e zucchero. Chiaramente.

Ma come spesso è accaduto su molti fronti, anche la cultura italiana del burro ha subito un impoverimento, persino dove storicamente si sapeva riconoscerne la qualità. 

Oggi per la maggioranza degli italiani il burro è bianco e senza troppa intensità al palato.

Complici la grande distribuzione e il sistema industriale, insieme al cambiamento delle abitudini alimentari, la memoria storica su come un buon burro dovrebbe essere ha finito col perdersi.

Questo fortunatamente non vale oltre le Alpi, dove i consumatori sono rimasti molto esigenti in fatto di burro.

In Francia la tartine, il pane imburrato, è un’istituzione. Del resto il verbo tartiner ha come primo significato spalmare il burro sul pane.
Basta entrare in un qualsiasi supermercato francese per rendersi conto della cosa: non solo lo spazio dedicato al burro è notevole, ma è possibile scegliere tra decine di burri di ogni tipo, sia per percentuale di grasso, per tipologia di fabbricazione, per livello di salatura e anche aromatizzazione.
Per il consumatore dell’Europa Centrale poi, il burro non può che essere giallo intenso, primo indicatore di qualità. Chiaramente non tutto il burro giallo è di montagna, ci sono anche altri fattori che entrano in gioco, come la razza delle mucche.

Come scrivevo all’inizio, questo è il periodo migliore per chi è amante del burro, ma soprattutto per chi non lo è. Io per esempio non la sono, per imprinting e abitudini.

La ragione è semplice: il burro estivo, d’alpeggio o malga che sia, non è un condimento, è un’esperienza che avvolge i sensi.

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